Unire i punti: raccontare il design fra archivi e testimonianze
20 settembre 2021 — 3 minuti di lettura
Arrivo dal Canada, da Montreal dove, dal 2005 sono stato professore all'École de design dell’UQAM. Ho insegnato Storia della Grafica, tipografia e type design, exhibition design e critical design.
Arrivo dal Canada, da Montreal dove, dal 2005 sono stato professore all'École de design dell’UQAM. Ho insegnato Storia della Grafica, tipografia e type design, exhibition design e critical design.
Il mio è un percorso un po’ anomalo. Da un’iniziale formazione umanistica (Laurea in letteratura inglese, all'Università di Roma La Sapienza) mi sono gradualmente spostato verso la comunicazione visiva, specializzandomi in tipografia e storia del design. Un diploma post-laurea all'Atelier National de Recherche Typographique in Francia, successivamente completato da un master in Type Design all’Accademia Reale di Belle Arti dell’Aia in Olanda, poi il dottorato conseguito all'Università di Leida con una tesi sul lavoro pionieristico di Bruno Munari. Questa duplice formazione si riflette nei miei ambiti di ricerca, che investono la tipografia e la storia della grafica.
Lavorando su Munari ho avuto modo di indagare origini e sviluppi del Modernismo italiano, il che mi ha permesso di fare nuova luce su figure meno note, in qualche modo trascurate dalla storiografia: parliamo di Renato Zveteremich, primo direttore artistico dell’Ufficio Pubblicità Olivetti negli anni Trenta, e di Piero Ottinetti, fra i più interessanti designer attivi nella Milano del dopoguerra, emigrato negli Stati Uniti nel 1971 e quindi scomparso dalle ricostruzioni storiche successive.
Sono stato organizzatore locale della conferenza annuale ATypI a Montreal nel 2017; e ho fatto parte del Comitato scientifico del World Design Summit, che si è tenuto sempre a Montreal nello stesso anno.
Su Ottinetti ho realizzato un documentario – presentato al Milano Design Film Festival nel 2018. Ho curato (con Nicoletta Ossanna Cavadini, M.A.X., Museo di Chiasso) una retrospettiva dedicata a Heinz Waibl al Centre de design dell'UQAM del 2017. Più recentemente, ho contribuito alla mostra sui designer italiani emigrati negli Stati Uniti (a cura di Melania Gazzotti e Greg D’Onofrio), presentata all’Istituto Italiano di Cultura di New York. Per quanto riguarda la tipografia, ho descritto (a quattro mani con Ramiro Espinoza) il tipico lettering dei caffè di Amsterdam; ho indagato l’ultima stagione della Fonderia Nebiolo a cavallo fra gli anni sessanta e settanta, e presentato un breve contributo sugli specimen tipografici alla mostra tenutasi al Museo Bodoniano di Parma.
Partendo da questi ultimi contributi e dalla mia esperienza di storia orale, mi sono unito a un gruppo di ricercatori – Marta Bernstein, Antonio Cavedoni, James Clough, Massimo Gonzato, Riccardo Olocco – coi quali condivido l’interesse per la storica Fonderia Nebiolo di Torino. Il nostro progetto vuole ricostruire le vicende della fonderia facendo un bilancio delle fonti documentarie e delle testimonianze orali di ex-dipendenti (maestranze, impiegati, quadri) – allo scopo di costituire una banca dati per la preparazione di una pubblicazione sulla storia della fonderia.
Fondata nel 1852 a Torino, nel corso del Novecento la Nebiolo è stata il maggiore produttore italiano di caratteri e di macchine da stampa, sia in termini di mercato sia di reputazione internazionale. Lo Studio artistico, diretto da designer del calibro di Alessandro Butti e Aldo Novarese, ha prodotto caratteri originali che hanno avuto una grande influenza: Semplicità, Neon, Augustea, Garaldus, Recta, Eurostile, Stop, per citarne alcuni. La Fonderia Caratteri ha cessato le operazioni nel 1978 e i suoi archivi sono stati dispersi o distrutti. Se una storia dell’azienda torinese, nononstante la sua importanza, non è stata ancora scritta è proprio a causa della perdita delle fonti primarie. È chiaro quindi che una metodologia di ricerca che integri l’apporto della storia orale permette di colmare (almeno in parte) le lacune. Un viaggio a Torino e Milano lo scorso anno mi ha permesso di realizzare una serie di interviste con ex-dipendenti; la mia attuale residenza a Torino mi permette di verificare la consistenza di archivi che possiedono documentazione potenzialmente rilevante, e di effettuare nuove interviste di storia orale.
Sono trascorsi quattro decenni dalla chiusura della fonderia: considerato l'arco di tempo, è evidente l’urgenza di raccogliere quante più informazioni possibili da chi ha avuto un’esperienza diretta dell’azienda. Queste testimonianze sono una fonte di informazioni ricca e variegata, che è la chiave per comprendere il contesto più ampio in cui operava la fonderia. E poi, la dimensione sociale della storia industriale risulta complementare alle più familiari prospettive tecnologiche ed estetiche, offrendo così un quadro più completo di un capitolo importante della storia del design e della società italiana moderna.
L’oggetto che ho scelto di portare è una cassa tipografica, ovvero i cassetti in cui una volta, in tipografia, si mettevano i caratteri in piombo quando ancora la composizione si faceva a mano. Appare evidente il legame con la fonderia Nebiolo che produceva i caratteri, ma è anche una metafora della situazione in cui gli storici del design si trovano oggi dinanzi alla dispersione degli archivi operata da una certa classe dirigente.