Off Campus Nolo: i mercati come luogo di progettualità inedito.
17 maggio 2021 — 12 minuti di lettura
Assessora alle Politiche del lavoro, Attività produttive, Commercio e Risorse umane del Comune di Milano, Cristina Tajani, dialoga con Davide Fassi, Professore Associato del Dipartimento di Design del Politecnico di Milano.
Nello spazio Off-Campus Nolo, all’interno del Mercato Coperto di Viale Monza, Tajani e Fassi conversano attorno alle tematiche dell’ibridazione degli spazi pubblici e di quartiere, della Terza Missione dell’Università, dei cambiamenti e delle sfide sociali e progettuali post covid.
Per noi è stato un risultato positivo, ottenuto all’interno di un percorso che tu conosci bene di riqualificazione dei mercati comunali coperti, che vede in questo spazio fisico e nella vostra presenza qui l’esperimento più originale perché in altri luoghi della città, in altri mercati coperti, abbiamo provato questo percorso di ibridazione tra attività commerciali ed attività di natura sociale, culturale con la presenza di associazioni, ma mai, in nessun altro spazio, un’università come il Politecnico di Milano, aveva manifestato interesse a sperimentare, a ibridarsi in un luogo così tradizionale come i mercati coperti che hanno una storia molto lunga nella città di Milano.
Credo che sia un fenomeno di media/lunga durata che è anche frutto di una grande trasformazione nel mondo del retail, del commercio al dettaglio che è l’avvento dell’e-commerce. Abbiamo osservato, nella città di Milano in fase pre covid - e penso che il covid abbia accelerato dei processi già in corso -, da una parte la diffusione del commercio elettronico e digitale delle grandi piattaforme di e-commerce, dall’altra parte una risposta originale di alcuni luoghi di commercio che, non potendo competere sullo stesso livello delle piattaforme in termini di prezzo e velocità di consegna, hanno scelto una via diversa e la via è quella di offrire ai consumatori non soltanto un prodotto, una merce che i cittadini possono trovare anche a prezzi più bassi su piattaforme digitali, ma un’esperienza di relazione, un’enfatizzazione della dimensione umana, del contatto, della possibilità di fruire non soltanto dell’attività di vendita ma di qualcos’altro. Questo qualcos’altro è spesso appunto relazione, attività di natura sociale, incontro; alcuni negozi hanno iniziato a offrire corsi di formazione, mostre, esperienze di bellezza, spazi espositivi da poter fruire. Credo che questo sia un percorso abbastanza irreversibile perché da una parte il cambiamento dovuto al digitale spinge a una competizione sul prezzo che non è raggiungibile da tutti gli operatori sul territorio, dall’altra parte i cittadini e i consumatori cercano qualcosa di diverso sicuramente legato alla relazionalità, all’esperienza, alla dimensione sociale aggregativa e penso anche che questa dimensione con il covid troverà un’enfatizzazione perché la nostra abitudine a lavorare da remoto con l’utilizzo di piattaforme da una parte ci offre possibilità nuove, ma dall’altra parte ci indica che la relazione umana, il contatto in presenza è ineliminabile ma desiderabile.
Molto particolare è osservare che i nostri mercati comunali coperti, anche durante i mesi più duri durante il lockdown sono rimasti spazi aperti di fruizione e di relazione non soltanto per le necessità di acquisto di beni alimentari. Le persone ci si sono recate anche perché erano spazi familiari della dimensione del quartiere e del territorio che è tornata a essere centrale. Un po’ quell’idea di città 15 minuti che molte aree urbane a livello internazionale stanno indicando come prospettiva per il prossimo decennio; Milano confida in questa possibilità mettendo al centro di questi quartieri a 15 minuti spazi a vocazione ibrida e i mercati comunali possono esserlo per diverse ragioni.
Devo dire che l’esperienza della pandemia e dei lockdown in qualche modo è stata acceleratrice dei processi già in corso. Noi durante questo anno che ci stiamo lasciando alle spalle, abbiamo osservato da una parte lo svuotamento per ragioni sanitarie, per via dello smart working, di alcuni luoghi della città, in particolare il centro storico, luoghi che erano diventati centri direzionali o con un'alta concentrazione di uffici, quindi spazi della città adibiti al lavoro.
Dall'altra parte però, anche nei mesi più duri del lockdown del 2020, la dimensione del quartiere è tornata a essere vitale, proprio perché le persone trascorrendo tutta la giornata nei luoghi e nei quartieri in cui vivono, senza necessità di spostarsi da aree residenziali a aree lavorative, sono tornati a vivere i quartieri. Nella tragicità di questa situazione vedo però un’indicazione in termini positivi anche per un'idea di sviluppo delle aree urbane, cioè quello di mixare la funzione abitativa con la funzione lavorativa all'interno degli stessi quartieri, delle stesse aree geografiche nelle città.
Oggi il tema del coworking o come lo chiamiamo noi il near working, ovvero la possibilità di lavorare nei pressi di casa è diventata una possibilità molto più concreta per tantissime persone che prima non lo facevano e sarà destinata a permanere: non credo sia un passaggio transitorio o reversibile. Questo ha degli impatti anche sulle attività commerciali: in questo anno, a fronte di una grave crisi delle attività commerciali dei centri storici o delle aree direzionali, abbiamo visto una rivitalizzazione dei negozi di vicinato, di prossimità, di quartiere che hanno anche saputo reinventarsi, cioè immaginare formule per avvicinarsi ai consumatori e ai cittadini con la consegna a domicilio e le attività solidali che hanno riempito la città anche nei momenti più critici. Questa è una dimensione da accompagnare e su cui intervenire concentrando gli sforzi e l'immaginazione di attori di natura diversa, sicuramente le istituzioni, ma anche altri attori che in questa città hanno sempre giocato un ruolo importante. Penso ai luoghi della cultura o della formazione come le università ma anche la dimensione del terzo settore, dell'associazionismo che hanno saputo lavorare con il settore pubblico, storicamente, e io credo che questo sia uno dei dati positivi della storia sociale e politica della città di Milano. In questo credo che i vostri progetti siano esemplari e so che state immaginando anche altri passaggi oltre a quelli già in corso e questa possibilità di dialogare tra istituzioni, enti di formazione, università è per noi arricchente perché è proprio nella dimensione del dialogo che possono nascere nuove idee, nuove possibilità.
I mercati sono 23 quindi un numero importante e distribuito abbastanza omogeneamente sulla mappa della città, quindi effettivamente dei presidi per ogni quartiere. Come dicevi, da qualche anno, alcuni di questi spazi hanno cominciato un percorso di riqualificazione ed ibridazione: penso in particolare al mercato di Lorenteggio per rimanere in un'area periferica, dove da tempo attività commerciali dialogano con attività associative, aggregative, con volontà inclusiva degli abitanti del quartiere. In modo diverso anche altri luoghi hanno cominciato a ripensarsi, sempre in periferia, ad esempio, il mercato Morsenchio ha aderito ad un nostro bando e ha creato un consorzio di operatori che si autogestiscono all'interno del mercato, lavorando sulla riqualificazione degli spazi, ma anche su attività aggregative del quartiere.
In aree più centrali ci sono il mercato Wagner e il mercato della Darsena che in maniera diversa si sono ripensati e re-immaginati. Anche altri si stanno incamminando: Rombon è un mercato storico e che oggi è praticamente deserto, sta lavorando con noi a un'idea di riqualificazione ad opera di Sogemy, la società che gestisce l’ortomercato e questo sarebbe quindi un ulteriore esperimento con operatori grossisti che costruiscono un progetto di vendita al dettaglio, di prodotti soprattutto di filiera corta in quello spazio ma anche di altri mercati più periferici. La sfida di questo progetto per noi è sempre stata sin dall'inizio quella di fare di più con meno perché ci lasciamo alle spalle una fase in cui i bilanci pubblici, soprattutto degli enti locali, sono sempre stati maggiormente ridotti ogni anno e avevamo la sfida di spazi che necessitavano progetti di riqualificazione anche strutturale, senza grandi risorse pubbliche da investire, ma con una grande volontà di attivare risorse di altro tipo: organizzative, progettuali e di compartecipazione tra pubblico e privato.
Questa è la cifra di questo percorso, cioè immaginare, insieme ad operatori di natura diversa, dei processi virtuosi laddove le risorse pubbliche da investire purtroppo sono poche. I temi che tu sollevavi assieme alle progettualità a cui facevi riferimento su questo mercato, sono la dimostrazione di come si debba procedere provando a mettere insieme pezzi di progettualità, di risorse che arrivano anche da altre fonti come, per esempio bandi e progetti europei. Questo rende tutto più faticoso, ovviamente, ma anche più stimolante dal punto di vista della cooperazione tra ente pubblico e soggetti di altra natura.
Sicuramente ci rivedremo prestissimo.